venerdì 16 aprile 2021

 

I CARATTERI E GLI INDICATORI


I dati interessano al ricercatore per via di alcuni aspetti o proprietà che li riguardano: nel linguaggio statistico queste proprietà vengono chiamate caratteri o, con un linguaggio meno preciso ma più intuitivo, "variabili", proprio perché possono variare, cioè assumere stati o valori differenti in soggetti e situazioni diversi. Distinguiamo caratteri quantitativi (le cui modalità sono quantità, espresse da numeri) e caratteri qualitativi (le cui modalità sono semplici categorie, che non designano una specifica quantità della proprietà in questione). Sono del primo tipo, ad esempio, l'età di una persona, il numero dei componenti di un nucleo familiare, il tempo impiegato a svolgere un determinato compito, mentre sono del secondo tipo lo stato civile, la nazionalità, il titolo di studio ecc. I caratteri quantitativi sono discreti o discontinui se i numeri che ne esprimono le modalità appartengono all'insieme N dei numeri naturali (è il caso dei numeri dei componenti di una famiglia: possono essere 2, 3, 4, 10 ma mai, 3,5 0 3/8); sono invece continui se le loro modalità appartengono all'insieme R dei numeri reali (il tempo impiegato per svolgere un compito). Tra i caratteri qualitativi, sono ordinabili quelli le cui modalità possono essere disposte in un ordine gerarchico (il titolo di studio), sono non ordinabili invece quelli in cui tale ordine non esiste (è il caso della nazionalità o dello stato civile). La nazionalità o lo stato civile di una persona, la sua età, la sua professione, il numero di fratelli che ha o il tempo che impiega a compiere una certa azione sono realtà che chiunque, anche senza una specifica professionalità, può facilmente ricavare. Spesso però nelle scienze umane lo studioso ha che fare con realtà immateriali, intraducibili in grandezze fisiche: sono tratti psichici e comportamentali, proprietà di individui e di gruppi. In questo caso è necessario che il carattere che si intende rilevare sia definito in modo concreto e puntuale, attraverso la messa a punto di quelli che vengono chiamati gli indicatori, cioè i "dati spia" empiricamente riscontrabili che ci consentono di rilevarne le modalità. Durkheim, nel suo studio sul suicidio, scompone il carattere "integrazione sociale" nelle 3 dimensioni dell'integrazione politica, religiosa e domestica, specificando quindi gli indicatori empirici che definiscono ciascuna delle componenti.

 

GLI STRUMENTI STATISTICI

La statistica è la scienza che si serve di metodi matematici per l'analisi e l'elaborazione di dati relativi a fenomeni collettivi, al fine di trarne conclusioni fondate e rilevanti. Le scienze umane, così come la meteorologia, la medicina, l'economia, ne fanno sistematicamente uso. L'operazione di tradurre in numeri l'oggetto della propria ricerca può essere compiuta in più contesti e a diversi livelli. Questa operazione si chiama "misurazione di frequenza": ciò che possiamo misurare è la frequenza assoluta, quante volte effettivamente una certa modalità compare, e frequenza relativa, il rapporto tra la frequenza assoluta e il numero totale delle rilevazioni effettuate. Il complesso delle diverse modalità e delle rispettive frequenze con cui un determinato carattere si manifesta in una popolazione è detto distribuzione di frequenze o distribuzione statistica. Conoscere la frequenza assoluta o relativa di un fenomeno costituisce comunque una necessaria base di partenza per valutarne l'impatto sociale, avanzare spiegazioni o previsioni, suggerire possibili strategie di intervento. Le distribuzioni statistiche possono essere rappresentate con tabelle oppure tramite grafici, cioè figure che ne rappresentano simbolicamente le caratteristiche.

LA VALIDITA' DELLA RICERCA

Per lo studioso che conduce una ricerca è importante avere la certezza che essa risponda a requisiti di "validità". Questo concetto si specifica in due ulteriori questioni: la validità degli strumenti impiegati e quella dei risultati a cui si approda. Uno strumento è valido se misura effettivamente, e in modo preciso, ciò che intende rilevare.  In psicologia, ad esempio, da un test per la misurazione dell'intelligenza ci si aspetta che misuri effettivamente ciò che intende rilevare, il quoziente intellettivo dell'individuo, e non altre caratteristiche, come la creatività o l'attitudine a svolgere un determinato compito; da un questionario predisposto per un'inchiesta sulla pratica religiosa all'interno di una determinata popolazione, ci si attende che dia informazioni su quello specifico fattore che intendiamo indagare, e non su altri. Tuttavia, è pur vero che, soprattutto in sociologia, può capitare che uno strumento predisposto per rilevare un certo fattore possa dare informazioni supplementari e impreviste su altri aspetti del fenomeno. Nel 1972 gli studiosi statunitensi Morris Rosenberg e Roberta Simmons interpellarono un gruppo di studenti di Baltimora per conoscere la loro posizione nei confronti delle persone di colore. I dati emersi dalla loro inchiesta contenevano però molte informazioni supplementari di ordine sociodemografico. Su tale materiale lavorarono alcuni anni dopo altri due studiosi, Janet e Larry Hunt, studiando in particolare il rapporto tra l'assenza della figura paterna in famiglia e la socializzazione delle ragazze ai ruoli femminili. Se si parla dei risultati ottenuti, possiamo banalmente affermare che una ricerca è valida se i risultati a cui approda sono esatti, cioè se rispecchiano l'effettiva realtà delle cose. Bisogna però distinguere tra "validità interna" e "validità esterna”.


-          Si parla di validità interna quando le conclusioni di una ricerca sono valide almeno all'interno dell'ambito in cui è stata condotta. Perché ciò si verifichi non è sufficiente che siano impiegati strumenti validi, ma occorre anche che sia adeguata la condotta del ricercatore e che i risultati siano stati registrati correttamente.

-           Si parla invece di validità esterna quando i risultati di una ricerca si possono estendere a situazioni diverse da quella in cui è stata condotta. Il problema si pone soprattutto per gli studi fatti in laboratorio: condurre un esperimento o predisporre un'osservazione in un ambiente artificioso, appositamente predisposto dallo studioso, se da un lato ha il pregio di conferire maggior rigore alla ricerca, dall'altro può produrre conclusioni difficilmente trasferibili nella realtà quotidiana.

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