LA RICERCA SECONDO
L'EPISTEMOLOGIA NOVECENTESCA
L'epistemologia è la branca della filosofia che si interroga
sulla natura e sui fondamenti del sapere scientifico. Ci si è chiesti, ad
esempio, che cosa siano le teorie scientifiche, in che modo gli scienziati
giungano a elaborarle ma anche ad abbandonarle per rimpiazzarle con concezioni
nuove. Nel XX secolo la riflessione epistemologica ha avuto una notevole
rilevanza all'interno del dibattito filosofico, e in buona parte essa è stata
dominata proprio dalla discussione critica del modello scientifico positivista,
di cui ha messo in luce i nodi critici. La filosofia della scienza del
Novecento, all'interno della quale spiccano figure come quelle di Karl Popper,
Thomas Kuhn, Paul Feyerabend, ha messo in discussione proprio i due assunti
chiave su cui il Positivismo aveva costruito la sua nozione di ricerca
scientifica.
1) Ha sottolineato la debolezza del principio di induzione:
dall'esperienza di casi particolari, per quanto numerosi, non è possibile
ricavare una conoscenza certa di carattere universale, giacché molte conferme
non sono sufficienti a garantire la bontà di un'affermazione generale, mentre
una sola smentita è in grado di invalidarla.
2) L’epistemologia novecentesca ha rifiutato l'idea che la
ricerca possa iniziare dalla pura e semplice osservazione dei dati: quest'ultima,
in realtà, presuppone sempre un qualche elemento teorico, che orienti
l'interesse del ricercatore e guidi la sua stessa osservazione, selezionando e
organizzando i dati percettivi.
Le aspettative, le conoscenze, le ipotesi creano cioè prospettive diverse di osservazione, all'interno delle quali si formano, in un certo senso, dati differenti. Secondo una nota metafora del filosofo statunitense Norwood Hanson, i due astronomi Tyler Brahe e Keplero, in piedi su una collina all'alba con lo sguardo rivolto verso Oriente, non vedono la stessa cosa: il primo, seguace della teoria geocentrica, "vede" il sole che si leva sull'orizzonte; il secondo, che segue invece la teoria eliocentrica, "vede" l'orizzonte scorrere sotto il sole immobile. Sottolineare la presenza di presupposti teorici in ogni nostra esperienza del reale non significa tuttavia sminuire l'importanza del confronto con i dati empirici, di cui la ricerca si consustanzia: se, da una parte, la teoria guida l'osservazione dei fatti, dall'altra i fatti osservati producono effetti importanti sulla teoria stessa, costringendo spesso il ricercatore a modificarla per adeguarla alle nuove scoperte. E poiché, come abbiamo visto, una sola smentita empirica è sufficiente per smontare un intero costrutto teorico, fare ricerca significa allora cercare nell'esperienza prove e situazioni che possano invalidare la teoria di partenza, al fine di saggiarne la solidità. Come
un'automobile sopravvissuta al crash test, sarà una buona teoria quella che ha resistito a ogni tentativo di confutazione: è questa la posizione di Popper del "falsificazionismo"
INTERROGARE LA REALTA' PER RICEVERE RISPOSTE
Immaginate di parlare con una persona che avete conosciuto
da poco: il vostro intento è quello di sapere qualcosa in più su di lei e
perciò le fate delle domande. Naturalmente, ciò che le chiederete sarà legato
ai vostri interessi e alle vostre priorità. Nella ricerca la situazione è
analoga: lo studioso pone domande alla realtà "costringendola" a
piegarsi ai suoi interrogativi e ai suoi interessi, ma disposto comunque ad
accettare le risposte che riceverà, e a mutare, in funzione di queste, la
propria visione delle cose. Ma perché interroghiamo la realtà in cerca di
risposte? Perché andiamo alla ricerca di dati che forse sovvertiranno i nostri
presupposti e le nostre conoscenze? La risposta è che ogni ricerca, qualunque
sia l'ambito in cui nasce, prende avvio da un "problema", cioè da una
situazione di "mancanza", di privazione, che è vissuta come disagio e
che chiede di essere risolta. Talvolta il problema è un fatto concreto, che si
impone all'attenzione degli studiosi e dell'opinione pubblica per la sua
urgenza e gravità. Nel campo delle scienze umane raramente la ricerca è mossa
da emergenze così impellenti, ma scaturisce comunque da fattori di criticità
che stimolano l'interesse dello studioso. Nell'ambito della psicologia sociale,
ad esempio, lo psicologo statunitense Stanley Milgram condusse nel 1961 il suo
esperimento sull'influenza dell'autorità, dimostrando che il principio di
autorità può condurre i soggetti a compiere azioni in contrasto con i loro
valori morali, quando era iniziato da pochi mesi il processo contro il
criminale di guerra nazista Adolf Eichmann. Milgram era interessato a capire
quali meccanismi psicologici potessero avere spinto i soldati tedeschi, durante
la Seconda guerra mondiale, a eseguire gli ordini disumani che avevano
ricevuto. Tra i sociologi, lo statunitense Howard Becker nel suo studio
Outsiders cercò di spiegare come nasca la "carriera" di individui e
gruppi devianti illustrando i meccanismi di "etichettamento" che
trasformano un comportamento trasgressivo nei confronti delle norme sociali in
una "qualità" attribuita al soggetto.
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